Maria
icona della Chiesa pellegrina
Sr. Maria Ko
Ha Fong
Nel racconto dei vangeli una delle
caratteristiche di Gesù nettamente percepibili è il suo essere «in cammino».
Egli nasce per la via, da neonato deve viaggiare per rifugiarsi in un paese
straniero, negli anni di predicazione si sposta con ritmo incalzante, passando
da un villaggio all’altro, di città in città, dai luoghi deserti alle piazze,
dalla casa alla sinagoga, dalla strada alla campagna, dalla riva del mare alla
montagna: quando si avvicina «l’ora di passare da questo mondo al padre» (Gv 13,1) prende «la ferma decisione di
mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc
9,51). Infine muore all’aperto, al
culmine di una via crucis. Egli
stesso è «la via» (Gv 14,6). Con un «seguimi»
coinvolge molti a mettersi in cammino insieme a lui: anche dopo la sua morte, i
suoi discepoli vengono riconosciuti come «quelli della via» (At 9,2). Pietro ha colto bene l’identità
del maestro quando l’annuncia con questa frase sintetica: «Dio consacrò in
Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando
tutti» (At 10,38). L’immagine che ha
affascinato i primi convertiti al cristianesimo è quella di un Gesù che cammina
guidato dallo Spirito Santo e facendo del bene dove passa.
La Bibbia è un libro pieno di strade e di viaggi, la storia tra
Dio e l’umanità è un intreccio dinamico tra uscire e arrivare, andare e venire,
partire e ritornare, tra esodo e avvento. Il camminare di Maria si inserisce in
questo movimento, in questo sistema di incontro divino-umano, sempre aperto
all’imprevisto, alla sorpresa e alla novità, ma sempre guidato dal vento dello
Spirito. Il racconto evangelico su Maria, infatti, si apre con la piccola
borgata di Nazaret e si chiude con la città di Gerusalemme. Tutti e due i
luoghi sono come spiraglio dove la terra si apre al cielo, come trampolino di
lancio dove la casa spalanca la porta ad un cammino. In tutti e due irrompe la
«potenza dell’Altissimo». Nella prima lo Spirito discende silenziosamente come
«ombra che copre» (Lc 1,35), nella
seconda lo stesso Spirito si fa presente
attraverso un «fragore di vento impetuoso» (At
2,1). C’è una specie di «inclusione pnematologica» meravigliosa. Da un luogo
all’altro si sviluppa la grande avventura non solo di Maria, ma di tutta
l’umanità che cammina all’incontro di un Dio sorprendente.
Sappiamo che nei vangeli i brani espliciti concernenti la madre di
Gesù sono pochi, e le sue parole riportate sono ancora più scarse, appena sei: ad
eccezione del canto del Magnificat le
sue parole si limitano a una frase. Eppure sono testi di straordinaria densità
e collocati in punti cardinali della storia della salvezza. L’immagine biblica
di Maria ha per me, cinese, qualcosa di simile a un dipinto sulla seta, che ha
queste caratteristiche tipiche: poche pennellate, molto spazio bianco, colori
tenui, contorni non totalmente definiti, soggetti semplici e senza pretesa,
atmosfera di sacro silenzio. Le poche pennellate cadono armoniosamente in posti
appropriati e sprizzano energie; grazie ad esse anche lo spazio bianco diventa
denso di significato. Il tutto invita a trascendere, a lanciarsi verso
l’infinito, a spiare il mistero, a fare esperienza dell’oltre, a dilatarsi nel
bello. I pochi racconti evangelici su Maria formano, con il molto spazio bianco
che li circonda, un tutto armonioso, dinamico, affascinante. De Maria
numquam satis: non solo il parlare di Maria è inesauribile, ma anche la
contemplazione dei pochi tratti evangelici su Maria non ha mai fine. Le
riflessioni che propongo qui sono frutto di una delle infinite contemplazioni
di questo bellissimo capolavoro del Signore, una contemplazione da cui trapela un
poco l’occhio femminile e asiatico, e molto, come spero, il cuore salesiano.
Sono articolati in sette punti.
1. Dal «quomodo fiet» al «fiat»
Contempliamo Maria nel momento in cui riceve all’improvviso
l’annuncio dell’angelo. Al messaggio sorprendente di Gabriele la risposta di
Maria non scatta in modo istantaneo ed irriflesso. La sua prima reazione è
quella del turbamento, tipico di chi è consapevole di trovarsi di fronte a
qualcosa che lo trascende infinitamente, ad una novità insospettata di cui non
riesce a cogliere subito il senso. Si tratta di un dubbio scaturito non dall’incredulità
ma dallo stupore di fronte alla sproporzione tra la grandezza della proposta e
la limitatezza effettiva della capacità di realizzazione. È l’atteggiamento
dell’umile e del riflessivo, di chi cioè è cosciente della propria piccolezza e
si avvicina al mistero con timidezza e discrezione, attento a penetrarne il
senso. È il sentimento del povero che sa meravigliarsi di fronte ai doni gratuiti.
La seconda reazione di Maria è un’obiezione. Maria invoca luce: Quomodo
fiet istud? («Come avverrà questo?») e manifesta il dilemma del suo voler
acconsentire, ma non sapere come.
Ella domanda a Dio che cosa dovrà fare per essere in grado di obbedire. Lo
spirito di Maria è come quello del salmista quando prega Dio dicendo: «Fammi
conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò le tue meraviglie» (Sal 119,27).
Dopo che l’angelo le ha assicurato che è lo Spirito che dilata la
sua piccolezza, la potenzia e l’abbellisce, Maria accetta con piena
disponibilità, passando così dal quomodo fiet, «come avverrà», al fiat,
«avvenga». Il fiat di Maria, come quello insegnatoci da Gesù nel Padre
nostro- «Sia fatta la tua
volontà, come in cielo così in terra» (Mt
6,10) - è un abbandono fiducioso e un desiderio gioioso di realizzare la
volontà di Dio. Con il suo fiat ella ricapitola in sé tutta la schiera
degli obbedienti nella fede dell’Antico Testamento e inaugura il nuovo popolo,
pronto ad ascoltare la voce di Dio che ora, nella pienezza del tempo, parla per
mezzo del suo Figlio.
La dinamica del cammino interiore di Maria risulta ancor più
chiara se si prende in considerazione il confronto intenzionale fatto da Luca
tra due annunciazioni: a Zaccaria (1,5-22) e a Maria (1,26-38). Zaccaria,
anziano e stimato, sacerdote, uomo giusto, rappresentante ideale della
religiosità anticotestamentaria, incontra l’angelo in Gerusalemme, nel tempio,
durante il culto. Uomo santo, luogo santo, tempo santo: tutto sottolinea la
sacralità e la solennità dell’evento. Maria, invece, una sconosciuta ragazza di
Nazaret, città disprezzata, da cui non potrebbe venire niente di buono (cf Gv 1,46), incontra l’angelo nella
quotidianità semplice e domestica. Ma Dio capovolge le posizioni. L’angelo
entra «da lei»: è Maria, in realtà, il tempio dell’Altissimo. Ella «ha trovato
grazia presso Dio», il dono divino giunge a lei gratuitamente, non a causa
della sua osservanza della legge o in risposta alla sua preghiera di domanda,
come è nel caso di Zaccaria. Anche la conclusione dei racconti è diversa:
Zaccaria si chiude nel suo mutismo, isolato, perché chi non prende parte di
tutto cuore al disegno di Dio e non si lascia coinvolgere con passione non può
nemmeno parlarne. Maria invece crede, si apre e diventa collaboratrice di Dio
nel salvare il mondo. Nella
tradizione iconografica Maria è spesso raffigurata come la platytera (dal greco più
ampia), la piccolezza che ospita
l’infinito. Colui che i cieli non possono contenere prende dimora nel suo grembo.
È lo Spirito che la rende “ampia”, la feconda, la ricolma di grazia, la carica
di dinamismo e passione. Lo si vede dal fatto che all’episodio
dell’annunciazione si aggancia in continuità quello della visitazione.
All’espressione: «l’angelo partì da lei», segue immediatamente: Maria «si mise
in viaggio» (Lc 1,38-39).
2. «Camminare in fretta» e «conservare tutto nel cuore»
La premura del cammino verso Ain Karim, come poi la sollecitudine
alle nozze di Cana, mostrano lo stile attivo, intraprendente, creativo,
risoluto di Maria. Il suo andare in fretta è immagine della Chiesa missionaria
che, subito dopo la Pentecoste, investita dallo Spirito Santo, si mette in
cammino per diffondere la buona novella fino agli estremi confini della terra.
Paolo conosce bene questa fretta: «È l’amore di Cristo che ci spinge» (2Cor
5,14).
Maria non guarda alle distanze, ai rischi possibili, non calcola
il tempo, non misura la fatica. L’ardore nel cuore le mette ali ai piedi. Ella
si sente spinta da quel Dio che porta dentro. Il suo camminare non è solo
movimento esterno: è un andare restando nel Signore, un partire dimorando in
lui, un viaggiare portandolo dentro di sé. È la forza interiore che muove,
dirige, avvolge e dà senso all’azione esteriore; è il silenzio che matura la parola.
Ella unisce la contemplazione nell’incontro col mistero alla concreta azione
nell’esperienza del servizio; fonde in armonia il più grande trasporto nei
confronti di Dio e il più grande realismo nel confronti del mondo e della
storia.
Alla sollecitudine e laboriosità esterna corrisponde un’attività
vivace interna. Maria «conserva tutte le cose nel cuore meditando» (Lc 2,19.51). Luca ha voluto sottolineare
l’atteggiamento riflessivo e sapiente di Maria di fronte al mistero ripetendo
questa frase per due volte. È un’espressione che apre profondi spiragli sulla
vita interiore di Maria. Ella, Vergine sapiente, Vergine in ascolto, è una
donna dal cuore grande, capace di conservare le «grandi cose» operate da Dio in
lei nella storia, capace di far memoria delle meraviglie di Dio, capace di
collegare dentro di sé il passato con il presente, trasformando tutto in seme
di futuro. Ella non capisce subito tutto, ma ospita tutto nel suo cuore, si
apre al mistero lasciandosi coinvolgere e rispettando i ritmi della rivelazione
storica di Dio.
Gesù insegnerà questo atteggiamento riflessivo di Maria anche ai
suoi discepoli: «Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro
ora, ricordiate che ve ne ho parlato» (Gv
16,14). «Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato
la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la
loro perseveranza» (Lc 8,15).
I discepoli di Gesù devono imparare da Maria, Maestra sapiente, il
segreto dell’unificazione vitale tra interiorità e attività, tra essere e fare,
tra credere e operare, tra preghiera e lavoro, tra memoria e creatività, tra
concentrazione e diffusione della parola di Dio, tra «conservare tutto nel
cuore» e «camminare in fretta», tra l’accogliere il dono di Dio e il farsi dono
di Dio per gli altri.
3.
«Vedere un segno» e «essere segno»
Maria parte da Nazaret e si mette in cammino dietro un «segno» ricevuto
dall’angelo: «Vedi, anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha
concepito un figlio» (Lc 1,36). Nella
modesta casetta del sacerdote Zaccaria, l’anziana Elisabetta attende il figlio dono
di una grazia sorprendente. Questo fatto deve essere per Maria una prova della
potenza di Dio a cui «nulla è impossibile» (1,37).
Quando Sara, moglie di Abramo, rideva incredula al pensiero di
poter ancora partorire in vecchiaia, il Signore le fece questa domanda: «C’è
forse qualche cosa impossibile per il Signore?» (Gn 18,14). Isaia invita il popolo scoraggiato e travolto dalla
sofferenza a fidarsi di colui che può tutto: «Ecco non è troppo corta la mano
del Signore da non poter salvare; né tanto duro è il suo orecchio, da non poter
udire» (Is 59,1).
Maria cammina verso la montagna animata dalla fiducia in Dio. Come
dirà in seguito nell’esplosione di gioia del Magnificat, il Signore è
per lei «Salvatore», «l’Onnipotente», un Dio che «si ricorda della sua
misericordia» e la stende «di generazione in generazione su quelli che lo
temono» (Lc 1,47.49-50).
La fiducia di Maria è rafforzata dal «segno» che Dio le ha offerto,
ma, in realtà, ella stessa è un segno di Dio dato all’umanità, «un segno di
speranza e di consolazione» (Lumen Gentium
68). Maria, infatti, segna l’aurora che precede il sorgere del sole, segna
l’irrompere della salvezza nella storia, segna «la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Mentre Isacco, il bambino di
Sara, e Giovanni, il bambino di Elisabetta, portano il messaggio che Dio può
tutto, il bambino di Maria è il Dio che può tutto, il Dio onnipotente fattosi
uomo debole e nascosto.
Nel
cammino di fede di Maria, c’è una circolarità tra lo scoprire il segno di Dio
negli altri e l’essere segno di Dio per altri. Si tratta della meravigliosa
solidarietà tra i credenti. L’incontro tra Maria e Elisabetta rivela nello splendore
della sua bellezza.
Maria e Elisabetta: due donne protese verso il futuro del loro
grembo, due donne che custodiscono dentro di sé un mistero ineffabile, un
miracolo stupendo. La coscienza d’essere oggetto di particolare predilezione da
parte di Dio le unisce, la missione comune di collaborare con Dio per un
progetto grandioso le entusiasma e le fa esplodere in benedizione e in canto di
lode, l’esperienza della maternità prodigiosa le rende solidali. Il prodigio di
Dio in Elisabetta è per Maria un «segno» che l’aiuta a pronunciare il suo fiat;
il prodigio di Dio in Maria è «segno» per Elisabetta, un segno che suscita in
lei una confessione di fede. Così le due donne sono, l’una per l’altra, luogo in
cui scoprono Dio, epifania della sua grandezza e motivo per cui lodarlo e
ringraziarlo. Nel riconoscersi reciprocamente «segno» di Dio, la loro comunicazione, densa di
intuizione e di intesa profonda, permeata dal rispetto per il mistero, si fa
benedizione, si fa canto e poesia. Il confronto vicendevole nella fede fa
sgorgare la profezia vicendevole, animata dalla forza dello Spirito. Insieme,
tutte e due, diventano segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità.
4.
Dal fiat al magnificat
Mentre Maria percorre in fretta le vie tortuose della montagna,
dentro di lei si snoda un itinerario interiore di fede che va dall’adesione
docile del fiat all’esplosione gioiosa del Magnificat, dall’essere
visitata da Dio all’essere visita di Dio per altri.
Salendo sulla montagna Maria sente di non essere sola. Il Figlio
di Dio è presente, nascosto in lei. Il saluto dell’angelo a Nazaret, «il
Signore è con te», che Maria aveva faticato a comprendere, ora si fa esperienza
reale e convinzione profonda. Maria, Madre del Dio-con-noi, è ora l’arca
della nuova alleanza, la nuova dimora di Dio, nuova trasparenza della presenza
divina tra gli uomini, nuovo motivo di gioia per tutti.
Con il suo camminare per vie scomode per raggiungere l’altro a
casa sua, Maria inaugura lo stile di Dio, lo stile di «uscire», lo stile di servizio,
di abbassamento, di solidarietà verso chi ha bisogno. In lei il Dio incarnato
si fa il Dio che entra nella trama umana e permea di sé anche la sfera del
quotidiano. La salvezza acquista tonalità domestica. «Oggi devo entrare in casa
tua», «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 5.9): ciò che Gesù dirà più tardi nell’incontro con Zaccheo
è in qualche modo realtà anticipata per mezzo di Maria.
Maria porta gioia e speranza. Dalla Galilea alla Giudea ella
percorre lo stesso tratto di strada che più tardi farà Gesù. Camminando in fretta
sui monti, ella evoca il celebre testo profetico: «Come sono belli sui monti i
piedi del messaggero di un lieto annuncio...» (Is 52,7). La buona novella portata da Maria emana gioia contagiosa,
fa esultare un bambino nel grembo materno, rende felici due anziani. «I giovani
e i vecchi gioiranno. Io cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li
renderò felici» (Ger 31,13). I
bambini che nascono e gli anziani che giungono alla pienezza della loro vita si
incontrano e si uniscono nell’esultanza, lodando lo stesso Dio «amante della
vita» (Sap 113,9).
Lungo tutta la sua vita Maria continua a moltiplicare e a diffondere
dappertutto la gioia pura di cui ella è inondata, quella gioia scaturita dal
saluto dell’angelo «Rallegrati Maria» e resa più intima e profonda dal suo fiat.
Alla nascita di Gesù questa gioia si estende ai pastori di Betlemme attraverso
l’annuncio dell’angelo: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il
popolo» (Lc 2,10). Portando Gesù nel
tempio Maria fa ancora trasalire di gioia l’anziano Simeone e la profetessa
Anna. A Cana, poi, la gioia non viene a mancare al banchetto delle nozze grazie
all’intercessione di Maria presso il suo Figlio. A Maria, portatrice della
Buona Novella e madre del Dio della gioia, si potrebbe applicare la parola del
salmista: «Al tuo passaggio stilla l’abbondanza [...], tutto canta e grida di
gioia» (Sal 65, 12-14).
Dal fiat al magnificat diventa, quindi, l’itinerario
esemplare di ogni cristiano che compie il suo pellegrinaggio della fede passando
dall’adesione iniziale al progetto di Dio al pieno godimento della bellezza di
questo progetto, attraverso una graduale «salita»: il servizio, la gratuità del
quotidiano, l’andare con sollecitudine verso chi ha bisogno, l’incontro di
amicizia, lo sforzo missionario nel portare Gesù in casa altrui, l’annunciare
la buona novella con gioia suscitando gioia di salvezza nella gioventù che si
apre alla vita.
5. «Avvolgerlo in fasce» e «cercarlo con ansia»
Nel racconto della nascita di Gesù Luca riporta il gesto delicato
di Maria: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo
depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). È
un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e rispettoso di
Maria verso questo bambino che è figlio di Dio e figlio suo. L’angelo che annuncerà
la buona notizia della nascita del bambino ai pastori, darà loro questo come
segno: «troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,13). Venti secoli sono passati e
ancor oggi nelle nostre scene natalizie il bambino si presenta con questo segno
dell’amore della madre.
A Betlemme Maria insieme a Giuseppe si trova coinvolta in questo
mistero, nascosto da secoli nella mente di Dio e diventato realtà davanti ai
loro occhi: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Maria e Giuseppe sono i primi
testimoni di questa nascita, avvenuta in condizioni umili e povere, primo passo
di quell’«annientamento» (cf Fil
2,5-8), che il Figlio di Dio liberamente sceglie per la salvezza di tutta l’umanità.
E questo bambino è affidato alla loro cura ed educazione. L’amore tenero della
madre, espresso nel momento della nascita, accompagnerà il figlio in ogni fase
della vita.
Il lungo periodo della vita nascosta a Nazaret, durante il quale
Gesù si prepara alla sua missione messianica, è riassunto da Luca in poche
parole. Egli racconta un solo episodio della vita di Gesù adolescente: quello
della Pasqua a Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. La narrazione è
incorniciata da due versetti che sottolineano l’idea della crescita di Gesù:
«Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era
sopra di lui» (Lc 2,40). «Gesù
cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Il viaggio alla città santa di
Gesù dodicenne segna una tappa della crescita di Gesù: è l’anticipazione di un
altro viaggio a Gerusalemme, che culminerà nella sua Pasqua.
L’episodio segna anche la crescita della madre. Ritrovato Gesù nel
tempio dopo tre giorni, Maria gli domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così?
Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Nel «perché» di Maria è il riassunto di tanti perché
dell’umanità di fronte al Dio misterioso: la sua ansia esprime l’angoscia di
tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù dà
per risposta due altre domande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo
occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc
2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre: con la crescita in età e in
sapienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua missione. Anche
Maria deve crescere nell’accoglienza dell’identità di Gesù - questo figlio che
ella ha avvolto in fasce alla nascita non è solo figlio suo - e cresce nella
consapevolezza d’essere anche lei depositaria del mistero di Dio; lo sapeva fin
dal momento dell’annuncio dell’angelo, ma ora tutto appare più vivo e reale, e,
allo stesso tempo, più duro e più incomprensibile. Accanto a suo Figlio anche
Maria ha un «deve» riguardo alle cose del Padre. Madre e Figlio crescono
insieme nel reciproco sostegno per realizzare il disegno del Padre.
6.
Dal fiat al facite
Maria è diventata Madre di Dio perché ha «creduto nell’adempimento
delle parole del Signore» (Lc 1,45):
è l’interpretazione del fiat di Maria fatto da Elisabetta, sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo. A lei fa eco Agostino quando dice: «Maria,
piena di fede, concepì Cristo prima nel cuore che nel grembo». Alla pienezza di
grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede da parte di Maria.
Abbandonata a Dio completamente, impegnata nell’avanzare
costantemente nella «peregrinazione della fede», Maria si è sintonizzata
lentamente e profondamente con Dio. Per la sua viva fede ella arriva a una
forte intesa con lui, a un acclimatamento di tutto il suo essere alla sfera
divina, riesce ad avere una profonda intuizione
del pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a sentir
palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La Lettera agli Ebrei, elogiando la
fede degli antenati di Israele, dice di Mosé che visse «come se vedesse
l’invisibile» (Eb 11,27). Così Paolo,
avendo raggiunto un grado di unione con Cristo da poter dire «non sono più io
che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal
2,20), afferma senza retorica e senza vanto: «Noi abbiamo il pensiero di
Cristo» (1Cor 2,16). Tutto questo può
essere detto di Maria. A Cana di Galilea la troviamo così, semplice, discreta,
fiduciosa accanto al suo Figlio, sicura di essere esaudita perché intimamente
sintonizzata con lui.
A Cana Maria riveste un ruolo profetico. È «portavoce della
volontà di Dio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte,
affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi». (Redemptoris Mater 12) Le due parole
pronunciate da Maria a Cana: «Non hanno più vino» (Gv 2,3) e «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) mettono in risalto questa dimensione. Maria legge in
profondità la storia umana, ne individua i problemi ancora nascosti, raccoglie
i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Ella
scopre il nodo essenziale del guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio, l’unico
che lo può sciogliere (È l’immagine che a Papa Francesco piace tanto: Maria che
scioglie i nodi, può trovare un legame biblico qui). E intanto prepara i servi
all’accoglienza dell’aiuto divino con un’indicazione sicura.
«Fate quello che egli vi dirà» è una tra le poche espressioni pronunciate
da Maria nel Vangelo, l’unica indirizzata agli uomini, che, per questo, a
ragione, viene considerata «il comandamento della Vergine». È anche l’ultima
parola sua registrata nel Vangelo, quasi un «testamento spirituale». Dopo
questo Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui
solo ha «parole di vita eterna» (Gv
6,68). In questa espressione di Maria si percepiscono gli echi della formula
dell’alleanza sinaitica. A conclusione dell’alleanza il popolo promette:
«Quello che il Signore ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7; Dt
5,27). Maria non solo personifica Israele obbediente all’alleanza, ma è anche
colei che induce all’obbedienza, ormai non più all’alleanza, ma a Gesù, da cui
prende inizio una nuova alleanza e un nuovo popolo. Ciò emerge con maggior
evidenza se si legge questa parola di Maria in parallelo con le ultime parole
di Gesù Risorto nel Vangelo di Matteo: «Fate discepoli tutti i popoli [...]
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19).
Maria conduce, dunque, a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola
e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità
nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso
ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,14).
Il «Fate quello che egli vi dirà» pronunciato da Maria non è un
invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dalla sua esperienza
personale. La parola raggiunge il cuore e la vita dell’interlocutore solo se è
scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della
parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è
contagiosa: il fiat da lei vissuto
in profondità diventa un facite
convincente rivolto ad altri.
Dal fiat al facite:
solo una profonda intesa con Dio e una saggia comprensione della realtà
del mondo possono dare efficacia alle nostre parole e azioni. Il facite con
cui aiutiamo gli altri, in particolare i giovani, deve scaturire sempre dal
nostro personale fiat di adesione
a Dio.
7.
Da «Ecco concepirai un figlio» a «Ecco tuo figlio»
Maria, la Theotókos, la Madre di Dio, è l’epifania di uno
dei misteri, dei paradossi più alti del cristianesimo, delle sorprese d’amore
più sconcertanti di Dio fatte all’umanità. L’esperienza unica e prodigiosa di
generare nella carne l’Autore della vita ha riempito di stupore la stessa
Maria. Il suo Magnificat è, infatti, tutto un’esclamazione di meraviglia
e di gioia: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente». Elisabetta, coinvolta nel
suo stesso stupore, la chiama «madre del mio Signore». La Chiesa riconosce in
questo mistero il primo e fondamentale dogma su Maria e per secoli lo contempla
nella liturgia. Un antico responsorio di Natale così esclama: «Quello che i
cieli non possono contenere, si è racchiuso nelle tue viscere, fatto uomo». Né
il ragionamento concettuale, né gli inni e le poesie, né i suoni e la musica,
né i colori e l’arte riescono ad esprimere adeguatamente la grandezza di questo
mistero.
L’essere madre per Maria non è però un’identità statica che si
acquista una volta per sempre. Lungo la sua «peregrinazione della fede» ella ha
fatto un cammino di crescita e di maturazione nella sua maternità vivendo tutta
una gamma di sentimenti materni. C’è l’attesa silenziosa nel contemplare il
lento dipanarsi del segreto dentro di sé, la gioia intima alla nascita e
l’amore di tenerezza verso il figlio neonato, la soddisfazione e la fierezza
nel presentarlo ai pastori e ai magi. C’è il dolore della fuga e dell’esilio
per proteggere e salvare la vita di colui che è la Vita del mondo. C’è dolcezza
d’intimità negli anni di Nazaret. C’è poi l’esperienza difficile e sconcertante
dello smarrimento di Gesù dodicenne nel tempio. Anche nel corso della vita
pubblica di Gesù l’unione della madre con il figlio continua a svilupparsi e ad
approfondirsi. Con sobrietà e discrezione Maria è presente «non come una madre gelosamente
ripiegata sul proprio Figlio divino, ma come donna che con la sua azione favorì
la fede della comunità apostolica in Cristo e la cui funzione materna si
dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali» (Marialis cultus 37).
Come la «peregrinazione della fede» culmina per Maria nell’evento
pasquale del Figlio, così anche il suo cammino di maternità. Giovanni Paolo II
parla di una «nuova maternità di Maria», che è «frutto del “nuovo amore”, che
maturò in lei definitivamente ai piedi della croce, mediante la sua
partecipazione all’amore redentivo del Figlio» (Redemptoris Mater 23). Già Agostino ne parlava in modo analogo
riflettendo su Maria: Madre non solo del Capo, ma anche delle membra del corpo
mistico di Gesù generato dalla sua morte redentiva. Innalzato sulla croce, il
Figlio di Maria si rivela «il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29); intorno a lui si radunano in
unità tutti «i figli dispersi di Dio» (Gv
11,52), e Maria si scopre madre di una moltitudine di figli. È Gesù che glieli
affida. A Nazaret Maria aveva iniziato il suo cammino di maternità accettando
il progetto misterioso di Dio: «Ecco concepirai un Figlio»; ora è questo Figlio
che le propone una nuova maternità universale. A Cana, Maria si era posta in mezzo
facendo la mediatrice tra suo Figlio e gli uomini; ora è suo Figlio che fa da
mediatore tra lei e gli uomini dicendole: «Donna, ecco il tuo figlio!». Il
racconto di Giovanni termina con «E da quel momento il discepolo la prese nella
sua casa» (Gv 19,27). Da quel
momento, mentre l’umanità redenta accoglie la Madre, Maria accoglie ogni figlio
affidatole personalmente dal suo Figlio e lo introduce nel suo cuore materno,
per sempre.
Subito dopo l’ascensione di Gesù Ella esercita la sua maternità
realizzando la volontà di suo Figlio. Luca ci offre il bellissimo brano
all’inizio degli Atti: dopo
l’ascensione di Gesù gli undici apostoli tornarono a Gerusalemme in attesa
dello Spirito promesso ed «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme
con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui» (At
1,14). Luca intende mettere in luce la continuità tra il Gesù storico, nato per
opera dello Spirito con la collaborazione di Maria, e la nascita della Chiesa
per opera del medesimo Spirito e con la
medesima collaborazione di Maria. Colei, che ha concepito il Figlio di Dio per
opera dello Spirito Santo, ora “concepisce” il corpo mistico di suo Figlio
nell’accoglienza dello Spirito. La Madre, che ha avviato Gesù nel suo cammino
terreno, ora accompagna la Chiesa nel suo pellegrinare nel mondo e nella
storia.
Conclusione
Associare il “pellegrinare” di Maria alla nostra esperienza
salesiana è cosa spontanea. Nella preparazione di questa proposta di
riflessione emergeva di continuo nella mia mente evocazioni della vita di Don Bosco, di Madre Mazzarello
e di tanti fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana. La sintonia tra lo
spirito di Maria è lo spirito salesiano è forte e non può essere diversamente,
dato che Maria è la Madre e la Maestra della Famiglia Salesiana. Non tento qui
di illustrare il confronto per timore di
rovinarne la bellezza armonica, e spero che le parole dette non invada troppo quello spazio bianco, spazio carico di
potenzialità di stupore, di scoperte, di slancio e di rinnovata passione.
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