domenica 22 novembre 2015

2. Disponibilità senza limite

«Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, noi ci affidiamo a te
 per poter vivere totalmente disponibili a Dio per la redenzione del mondo».

L’incipit dell’atto di affidamento ci mette di fronte all’orizzonte ampio della nostra missione: collaborare con Dio alla redenzione del mondo. Siamo invitate così, ogni mattina, a metterci subito nel posto che Dio ha preparato per noi: al fianco di Maria, ai piedi della croce. È ai piedi della croce, infatti, che Maria diviene nostra Madre (Gv 19,26-27). Ai piedi della croce anche il nostro grembo vergine viene reso fecondo dal dono di Dio.
La croce è il momento più alto della missione di Gesù: è sulla croce che egli porta a compimento la sua opera. Tutto ciò che viene prima – l’incarnazione, la predicazione, le guarigioni – è preparazione alla croce. Ciò che viene dopo – la resurrezione, l’effusione dello Spirito Santo e la nascita della Chiesa – è frutto della sua dedizione senza condizioni. Dalla croce Gesù estende l’abbraccio misericordioso del Padre a tutta l’umanità, vicini e lontani, vincendo una volta per tutte la morte ed aprendo a tutti la porta del Cielo (cf Deus caritas est 12).
Le prime FMA ci hanno tramandato il ricordo del gesto con cui madre Mazzarello «sovente nelle conferenze e nelle buone notti e durante le stesse ricreazioni parlava loro dell’amore e della Passione di nostro Signore eccitando i loro cuori ad amarlo ed a farlo amare, e a soffrire ogni cosa per amor suo […] Prendeva in mano il crocifisso che le pendeva dal collo, e, indicando col dito la figura di Gesù, diceva: “Lui qui – poi voltandolo e indicando la Croce – e noi qui”. Così faceva sensibilmente capire che si doveva vivere crocifissi con nostro Signore» (Maccono II, 117). Restare in intima comunione con il Crocifisso è la strada sicura per vivere la nostra azione educativa senza perdere di vista che al cuore della nostra vocazione sta l’invito a collaborare alla redenzione. La stessa cosa desiderava per noi don Bosco, quando, nelle Costituzioni del 1885, ci invitava ad essere ciò che dobbiamo essere, «cioè spose di G. C. Crocifisso, e figlie di Maria Ausiliatrice» (XVIII,1).
Serenità del cuore e fecondità pastorale nascono dunque entrambe da una profonda comunione di sentimenti e di intenti con Gesù: solo se siamo unite a Lui «i pesi diventeranno leggeri, le fatiche soavi, le spine si convertiranno in dolcezze… Ma dovete vincere voi stesse, se no tutto diventa insoffribile e le malignità, come le pustole, risorgeranno nel nostro cuore» (L 22,21). Questo è il progetto di vita che abbiamo abbracciato nella nostra Professione, con tanto entusiasmo e, forse, un po’ di inconsapevolezza. Neppure Maria sapeva, nella stanzetta di Nazaret, che il suo sì l’avrebbe condotta al Calvario, ma lungo tutta la vita non si è mai stancata di perseverare nella fede, accogliendo, momento per momento, le gioie ed i dolori in cui veniva coinvolta da Gesù.
Nella nostra vita quotidiana, tante piccole o grandi occasioni di completare nella nostra carne «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24), rischiano di andare sprecate perché il Signore non ci trova pronte ad accogliere dalle sue mani neanche una sola spina della sua corona. A volte immaginiamo di poter morire martiri per la fede, ma non riusciamo ad accogliere un imprevisto che scombina i nostri piani…

Un piccolo «esercizio spirituale» per rinnovare concretamente la disponibilità a collaborare alla redenzione del mondo: nella preghiera del mattino offro al Signore, con l’aiuto di Maria, la disponibilità ad accogliere con amore – senza perdere la pazienza, senza ribellarmi – le piccole o grandi spine che lungo la giornata verranno. Sullo stesso punto mi verifico alla sera  facendo l’esame di coscienza.

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